Il diario di oggi è di Ilenia. Entra nelle nostre case, ogni sera da tanti anni. L’abbiamo vista crescere insieme a noi. Oggi è una mamma, che affronta tutte le cose nuove di questa quarantena, compreso l’impegno con un bambino piccolo in un momento così difficile. Ma tiene duro, come tutti, e invita anche noi a farlo. Buio, sipario. Grazie Ile.
(Ilenia Lazzarin) – Quando Miriam mi ha chiesto di scrivere un articolo per il suo blog mi sono fermata. Ho pensato: ma io non ho niente da scrivere, non ho nemmeno il tempo di pensare.
E’ vero, come ci dicevamo al telefono pochi giorni fa, le mamme, con nottate di poco sonno alle spalle, casalinghe, cuoche e lavandaie, insegnanti di sostegno alla bisogna, con progetti lavorativi e mille idee al giorno in momenti di serenità e carichi di entusiasmo, in questa quarantena sembrano oberate, tribolate, affannate. Eppure non stiamo facendo niente in più di quello che facevano le nostre mamme con noi tutti i giorni.
Ed io mi sento già cosi scarica, di già.
Quando questo quarantena potrebbe essere solo all’inizio. E già mi ha fatto capire che sto sbagliando tutto.
Una discussione con mio marito ieri, in momenti sporadici di sconforto, perchè non ho molto tempo a disposizione per sconfortarmi. Lui ancora sta lavorando, e quando non c’e sono una macchina da casa. Quando torna posso cedere al lamento, allento la frenesia, l’urgenza e i nervi mi cedono se il bimbo non mangia la pappa, se urla e schizza tutto il passato di verdure sul pavimento appena lavato, sui tappeti appena cambiati. Il mio ruolo esautorato di ogni autorità, l’idea di schiacciante di sbagliare metodo, psicologia infantile, pedagogia. Tutto.
MI fermo.
Una discussione accesa, che aveva la sola funzione di supplica malriuscita e spasmodica ricerca di comprensione ed empatia, ed una frase detta da lui che riecheggia nelle mie orecchie ovattate:
“tu dovresti essere felice di poter fare finalmente la MAMMA”
La mamma.
Fino ad oggi cercavo di fare la nutrizionista, la pediatra, la cuoca perfetta, la pedagogista mancata…potrei fare solo la mamma. Che fa quel che può e si gode il suo bambino anche se mangia passato e non solido, anche se la cucina è sporca, anche se è ancora tutto da lavare.
Diciamo che essere Vergine ascendente Vergine non aiuta, o forse è solo un pretesto.
Il pensiero sarebbe finito, Miriam , ma me ne sta venendo in mente un altro, avevi ragione che la scrittura è terapeutica. Qualche mattina fa, giovedì 26 marzo, lo scrivo anche perché sto perdendo la percezione dei giorni settimanali, scendo con i cani, fa freddissimo , il Vesuvio è imbiancato dalla neve, come succede sempre a Napoli , fino a febbraio fa caldo, marzo si congela e anche un po’ Aprile, le contraddizioni di questo posto fuori dal mondo.
Stavo scendendo coi cani.
Prendo le scale, perché la fobia di un contagio prende il sopravvento, anche se la fake news che si prenda il virus se usi l’ascensore senza mascherina è stata smentita, il pensiero “non è vero, ma ci credo” mi sta facendo seguire tutto. Fake news, consigli istituzionali, avvisi dittatoriali.
Durante la passeggiata i cani incontrano altri cani, si annusano, si parlano , si abbaiano, un privilegio che noi non abbiamo più.
A debita distanza dalle padrone, con guinzaglio allungato al massimo li facciamo giocare, godendone con loro i benefici di quegli scherzi e scatti giocosi. Torno a casa, salgo le scale, fredde, tutti tappati in casa, finestre chiuse, luce bassa , e quella malinconia che voi chiamate pucundria tipica di un film polacco di Krzysztof Kieślowsky, mi sento in un film, e la cosa più grave è che non sono mai stata empatica con chi davvero ha vissuto tragedie grosse.
Oggi mi sto avvicinando a capire. Tutto questo non ha minimamente a che vedere con il periodo della guerra che raccontano i nonni, con i campi di concentramento polacchi, con le grandi tragedie attraverso le quali sono passati i nostri nonni e anche i nostri genitori, eppure ci sentiamo “in guerra”. Ma dovremmo ringraziare il cielo, e baciare la terra sotto ai nostri piedi che quello che stiamo passando, seppur non facile, seppur doloroso non può proprio essere paragonato a nessuna grande tragedia dei nostri avi.
Ridimensioniamo un po’.
Torniamo qua.
Teniamo duro, che ne usciremo molto prima.
Le grandi tragedie sono state altre.
“Le tragedie sono altre”, hai ragione Ilenia. Ho una bella casa, ho tutte le mie comodità, i miei familiari e miei amici stanno bene, anche chi ha perso il lavoro o aspetta la cassa integrazione sta in piedi e resiste. Il virus è ancora qualcosa che vediamo alla tv, di cui sentiamo un squallido chiacchericcio o sta nell’eco delle sirene delle ambulanze.
Penso ai miei nonni: la guerra, gli anni di piombo, 7-8 papi (di cui due insieme), le stragi di stato, una tecnologia che li ha sbalestrati e adesso una pandemia. Penso a chi non ha la mia fortuna, penso a chi vive in un basso, in una famiglia violenta, penso a chi prima viveva davvero alla giornata e adesso nella migliore delle ipotesi chiede l’elemosina. Ogni volta che mi lamento mi dico che sono un cretino (dico di peggio ma non mi permetto di usare certi termini, sono sempre ospite) noi le tragedie, per fortuna, non sappiamo manco dove stanno di casa.
Ciao, parole bellissime!
Li ricordo bene i tuoi stati d’animo, essendo anche io mamma di 2 bambini. È normale farsi tante domande, sarebbe sbagliato non farsele.
Un abbraccio ♥️
Brava, Ilenia!!! Ancheia sorella sta vivendo dei momento simili ai tuoi. Sono empatica a vostro sforzo. Io, invece, ho due caneve due padri da 70 anni che vogliono uscire ad ogni momento. Sono già scarica, anche. Um bacione!!!! Siamo Brasiliane e vi seguiamo sempre!!!!
Condivido Con te ilenia complimenti sei bravissima